Andremo un giorno per spiagge sconosciute

Della complessità che investe ogni campo della vita attuale, chiunque concorda sul fatto dell'aumento esponenziale futuro.
Che la complessità sia una ricchezza, nel più ampio significato attribuibile, è una considerazione che accomuna la gran parte dell'opinione generale.
Ma in cosa concerne e quale significato abbia il contenuto di tale complessità è il punto sul quale si crea una frattura. Soprattutto sulla visione delle conseguenze che tale complessità riversa sull'umanità.
Si potrebbe dire che di visioni ce ne possono essere molteplici, tante quante sono le differenze della complessità considerata.
Personalmente mi viene di ridurre la questione a due sole visioni possibili e purtroppo contrapposte, anche se qualche impercettibile spiraglio permetterebbe di trovare piccole strade mediane.
Una visione è quella riconducibile all'aumento indefinito di sviluppo incontrollato della produzione e delle risorse (e loro uso), l'altra è quella la cui scelta presuppone una decrescita e un indietreggiamento.
Ho incontrato questo termine, con un significato del tutto particolare, nel saggio di Giulio Ginnetti, Michelstaedter e l’oblio: tra Nietzsche ed Heidegger, a pagina 6, nel capitolo 1.3 Cristo e Socrate. Il tragico, il pensiero etico e l'indietreggiamento, scritto dall’autore sotto la supervisione del Professor Giorgio Brianese dell'Università Ca' Foscari di Venezia (allievo di Emanuele Severino) e inviato alla Biblioteca Statale Isontina il 5 aprile 2018.
Io appartengo a quella minoranza che crede in quest’ultima possibile via.
Il filone dell'iper-produzione, della super tecnologia non mi pare vada a favore dell'umanità.
Vedo semplicemente una piccola parte, sempre più ridotta, acquisire beni e ricchezze materiali man mano in via esclusiva.
Un’élite che procede a grandi passi verso un'altra esistenza. Disumana.
Di contro, l'enorme restante massa di persone, soccombe a questo distorto sviluppo, riluttante a riconoscere di esserne in buona parte la causa, perdendo così l'umanità residua. Già, perché l'umanità non risiede nella materialità ma nella spiritualità.
Credo occorra indietreggiare dal materialismo e dal consumismo per riavvicinarsi a quello spirito antropologico il cui centro è l'uomo. Il fare, non il profitto. Il pensare, non la speculazione. Questo sarebbe necessario perseguire. Questo secondo me è il progresso!
Invece siamo al paradosso, dove regna e dilaga la cultura del denaro.
Il punto è qui. L'arte e la cultura, nel senso classico e umanistico, risultano assolutamente in crisi, dando spazio ad una cultura del divertimento, della vacuità unita alla competizione e allo sfruttamento dilagante.
Lo sfruttamento che impoverisce le popolazioni porta ad un vertiginoso aumento della ricerca di vie di fuga.
Le migrazioni, intese sia fisicamente e logisticamente che mentali e morali, sempre più globali e incontrollabili, nonostante presenti anche nelle epoche passate, non trovano una ragione plausibile. Risultano fughe nude e crude, prive di un futuro e di un reale miglioramento.
Gli affetti sempre più rari e scartati. E purtroppo sempre più spesso perduti non per cause naturali, ma in maniera violenta, per la guerra, per il fanatismo, per l’antagonismo, per l’incuria.
La perdita del senso divino a favore dell'idolatria e del fondamentalismo economico. Insomma, una conclusione dell'humanitas.

L'idea di realizzare questa particolare esposizione mi era affiorata già qualche anno fa, ma solo ora mi si è resa chiara e completa nella mente; il senso, anzi i sensi molteplici hanno preso forma attraverso cinque installazioni costituite da elementi preesistenti, già utilizzati, manipolati e trasformati nell'arco di circa dieci anni.
Perciò è un lavoro che proviene da lontano, che si è evoluto di pari passo con le modificazioni del significato dei concetti operate dal mio pensare rispetto ai cambiamenti in atto.
Assieme alle cinque opere sono presenti quattro bacheche messe a disposizione dalla Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, che contengono libri e documenti riguardanti in maniera differenziata le tematiche della mostra.
L’esposizione non è simultanea. Le installazioni vengono esposte singolarmente in sequenza ogni 15 giorni, percorrendo un ragionamento che si dipana attraverso cinque parole chiave: arte, affetti, fede, viaggi e (fine) vita. Un percorso mentale e emotivo. Probabilmente anche autobiografico.

Perché la mostra nel Comune di Mossa? Perché credo da sempre che siano i piccoli luoghi, a volte sconosciuti e che conservano una dimensione fuori dai clamori effimeri e dalle esibizioni autoreferenziali, a dover essere curati e valorizzati.

LC-DDS